Fonte: MySolution
Ai fini del rimborso chilometrico da parte dell’azienda per l’utilizzo della propria auto, può essere dubbia la deducibilità della spesa nel caso in cui l’autovettura sia intestata a un familiare, come per esempio la sorella oppure il padre. Vediamo insieme cosa si intende, ai fini fiscali, per “auto propria”.
Nell’ambito della disciplina fiscale delle trasferte dei dipendenti, per “auto propria” si intende l’auto di cui il dipendente ha la disponibilità e che utilizza di fatto per la trasferta.
Operativamente, pertanto, l’autovettura può essere:
- di proprietà del dipendente,
- oppure un’autovettura in leasing;
- o ancora un’auto che il dipendente detiene in comodato (prestito d’uso).
L’art. 51 del Tuir, nel disciplinare il trattamento fiscale dei rimborsi spese per le trasferte, fa riferimento ai rimborsi delle spese di viaggio, senza menzionare espressamente quelli erogati sotto forma di indennità chilometrica.
L’art. 95 del Tuir, nel porre dei limiti alle spese per le trasferte dei dipendenti che possono essere dedotte in sede di determinazione del reddito di impresa, fa espresso riferimento ai rimborsi erogati al dipendente “autorizzato a utilizzare un veicolo di sua proprietà”. Nonostante il tenore letterale della disposizione, deve ritenersi che la norma:
- attenga, in linea generale, i rimborsi erogati sotto forma di indennità chilometrica ai dipendenti autorizzati a utilizzare per la trasferta un veicolo di cui hanno la disponibilità;
- coerentemente, è ammesso l’utilizzo da parte del dipendente di autovetture di proprietà di soggetti terzi che la concedono in prestito (tipicamente i familiari), senza che ciò possa in qualche modo limitare la deducibilità della spesa.
Resta fermo che vincoli all’utilizzo di autovetture di proprietà di terzi possano essere previsti dal datore con il fine di limitare eventuali responsabilità.