Il dolo commissivo richiede la realizzazione di una condotta attiva, in cui siano ravvisabili gli estremi di un complesso di artifizi integranti i raggiri, che alterino il processo di formazione della volontà del deceptus.
Segnatamente il dolo commissivo postula che un contraente sia stato ingannato per il tramite di una macchinazione fraudolenta e attiva posta in essere da un altro soggetto.
Rientra in tale condotta ogni artifizio, ogni menzogna, purché grave e non facilmente smascherabile.
E ciò anche quando tali raggiri siano utilizzati non per suscitare nella controparte l’intento di contrarre, bensì per indurla a tenere un comportamento del quale l’autore dei raggiri ignorava il contenuto negoziale.
Sul piano oggettivo l’idoneità a trarre in inganno richiede l’impiego di mezzi adeguati.
Mentre la reticenza e silenzio possono acquistare rilevanza in relazione alle circostanze e al contegno che determina l’errore.
È necessario però che il silenzio sia intenzionalmente ingannevole ovvero che la reticenza del contraente si inserisca in una condotta che si configuri nel complesso quale malizia o astuzia diretta a realizzare un inganno (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 11605 del 11/04/2022; Sez. 6-2, Ordinanza n. 11009 del 08/05/2018; Sez. L, Sentenza n. 8260 del 30/03/2017; Sez. L, Sentenza n. 7751 del 17/05/2012; Sez. 2, Sentenza n. 9253 del 20/04/2006; Sez. 2, Sentenza n. 5549 del 15/03/2005; Sez. L, Sentenza n. 2104 del 12/02/2003; Sez. 1, Sentenza n. 8295 del 11/10/1994; Sez. 1, Sentenza n. 11038 del 18/10/1991).
La prova che il raggiro abbia provocato sul meccanismo volitivo un errore da considerarsi essenziale ricade sulla parte che lo deduce (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5734 del 27/02/2019; Sez. 3, Sentenza n. 21074 del 01/10/2009; Sez. L, Sentenza n. 16679 del 24/08/2004; Sez. 2, Sentenza n. 3065 del 19/04/1988).
Fonte: JuraNews